Qualche giorno fa un amico di vecchia data, che non rivedevo da molti anni (20 per l’esattezza!), mi ha contattato perchè, per un nuovo progetto su cui sta lavorando, ha pensato che la mia figura professionale potesse essergli di supporto.
Al di là del fatto che fa sempre piacere rivedere un amico dopo tanto tempo ed essere presi in considerazione per nuovi progetti, l’incontro ha portato alla mia attenzione il fatto che il ruolo del consulente d’immagine in azienda non è spesso ben compreso e talvolta viene confuso con quello del consulente marketing.
In realtà queste due figure professionali, per l’attività che svolgono in ambito aziendale, possono venire facilmente confuse in quanto i punti in comune sono tanti; allo stesso tempo non potrebbero essere più diverse!
Sembra una contraddizione, ma non lo è.
Prima di parlare delle differenze, facciamo un po’ di chiarezza.
CHE COS’È IL MARKETING?
Esistono numerose definizioni di “marketing” a seconda del momento storico e dell’approccio a questa disciplina. Semplificando potremmo dire che..
“Il Marketing è un insieme di tecniche che permettono, attraverso un’ offerta di beni e/o servizi, di soddisfare i bisogni e i desideri dei consumatori in un modo redditizio per l’impresa.”
Come tutti noi sappiamo il secondo dopo guerra, dapprima negli Stati Uniti e poi in Europa, è stato un periodo di grande crescita industriale ed economica, il potere d’acquisto delle famiglie è andato via via crescendo e così anche gli acquisti di prodotti e servizi che non erano solo di prima necessità, ma che avevo lo scopo di rendere la vita più confortevole (lavatrice, frigorifero, lavastoviglie, ecc.) o più piacevole (televisione, servizi e prodotti di intrattenimento, ecc.).
Questa società di consumo è cresciuta rapidamente, ma ad un certo punto (intorno agli anni 70) ha conosciuto un rallentamento a causa delle crisi petrolifere, della delocalizzazione dell’impiego e della conseguente crescita della disoccupazione in Europa, e altre motivazioni che non vale la pena approfondire in questa sede.
Ciò che è importante ricordarsi è che ad un certo punto vendere un prodotto per le sue funzioni o qualità non era più sufficiente: era poco probabile per una famiglia acquistare più di una lavatrice o di un frigorifero o di una lavastoviglie. La consumazione si trasforma da consumazione di bene e servizi a consumazione di “marchi”, marchi che diventano emblemi di qualità e soprattutto di status sociale: e così il marketing diventa essenziale per veicolare il marchio.
IL MARKETING OGGI
Da allora il marketing non ha smesso di evolvere e assumere forme diverse, spostando il suo focus dal prodotto al consumatore, dal consumatore al marchio, dal marchio all’azienda.
La lettura delle opere di Philip Kotler da “Marketing Management” del 1967 a “Marketing 3.0” del 2010 permette di comprendere appieno queste evoluzioni.
In quest’ultima opera, Kotler tratta di un nuovo approccio che mira a colpire le emozioni del cliente facendo leva sui suoi valori umani. Il focus del marketing 3.0 sembra essere una propensione all’umanesimo.
Nel suo interessante articolo, Brian Millar afferma
“Negli ultimi anni, alle imprese è stato detto che devono avere una missione, uno scopo; una ragione di esistere al di là di quella di “fare soldi”. I consumatori cercano l’autenticità, e i dipendenti vogliono lavorare per un’azienda che fa del mondo un posto migliore. Lo scopo è stato dichiarato un fattore chiave di successo del 21 secolo anche dalla Harvard Business Review …. Sembrava l’alba di qualcosa di magnifico: il capitalismo con un’anima.
Lol, stavano solo scherzando”
Si perchè, come spesso accade, ci si appropria della tecnica, dello strumento ma si dimentica il fine.
E così numerose aziende hanno iniziato a dichiarare, nei loro vari canali di comunicazione, la loro missione, il loro scopo. Piccolo problema, è solo una dichiarazione a fini di “marketing” e non si rispecchia affatto nella realtà dei fatti e nel modo di gestire l’azienda. Per scoprire le ricadute negative di queste scelte comunicative incoerenti vi consiglio di fare qualche ricerca su Gillette e le polemiche sulle sue lamette Venus, o su Jonhson & Johnson e i suoi conti offshore o sulle strategie di Starbucks per non pagare le tasse in UK.
Quando ho studiato marketing all’università ( sia per la mia laurea in Economia, che durante il Master in Management) l’ho detestato. Non mi vergogno ad ammettere che per me erano le lezioni peggiori (ebbene sì preferivo di gran lunga Matematica avanzata o Economia industriale): mi sembrava inutile perdere tempo a studiare delle strategie che ai miei occhi apparivano come manipolazioni, inganni… intelligenti, creativi e geniali a volte, ma degli “inganni”. Troppo lontano dal mio modo di “sentire” e dalla mia etica.
IL COACHING D’IMMAGINE AZIENDALE
Ai tempi dell’università non immaginavo certo che sarei stata confusa un giorno per un esperta o consulente di marketing e non immaginavo neanche che in un certo senso sarei finita per svolgere un’attività così vicina al ” marketing “.
Quando ho intrapreso la mia carriera di consulente d’immagine ho voluto fin da subito mettere in chiaro che non mi occupo di estetica o bellezza. Ho cercato di sottolineare fin dagli inizi che mi occupo di comunicazione.
“Mi occupo di “dare voce” (o meglio “dare immagine”) alla persona, al suo vero io, ai suoi desideri e obiettivi.”
E questo faccio anche in ambito aziendale: traduco in termini di immagine (colori, forme, stile, abbigliamento, portamento e comportamento) la vera identità dell’azienda e del suo personale, i suoi valori e la sua missione.
Queste sono le mie prime domande quando incontro il mio interlocutore in un’azienda cliente :
Quali sono i valori fondanti di questa impresa?
Perchè esistete?
Che cosa vi motiva e vi spinge a fare quello che fate?
Sembra molto simile ad una dichiarazione di scopo o missione la risposta che mi aspetto. Ma la differenza tra quello che faccio io come coach d’immagine e quello che fa un esperto di Marketing è che per me la dichiarazione di missione non è sufficiente.
Quello che cerco per poter iniziare a lavorare è una coerenza: una coerenza tra missione, valori, prodotto/servizio e quotidiano aziendale. Solo quando trovo che un filo conduttore sensato che unisce tutti questi elementi il mio lavoro ha inizio e posso realizzare un’immagine di successo.
DIFFERENZE E SIMILITUDINI TRA CONSULENZA D’IMMAGINE E MARKETING
Quali sono dunque i punti in comune tra un consulente marketing ed un consulente d’immagine (come lo intendo io e come promuovo questa figura in seno alla mia scuola ESR Italia):
- In azienda ci occupiamo entrambi di rafforzare l’identità del marchio attraverso i nostri servizi;
- Ci occupiamo entrambi di “comunicare” il valore dell’azienda all’esterno;
- Facilitiamo la relazione ed il rapporto di fiducia tra consumatore e azienda;
E quali sono le differenze:
Come un binocolo che permette di vedere lontano, il marketing si concentra e focalizza sul mercato e ciò che il mercato desidera in un determinato momento (e in questo attuale momento storico, il mercato vuole un scopo, una missione, dei valori).
Mentre il Coaching d’immagine aziendale, come una lente d’ingrandimento che permette di vedere meglio, si concentra per sua natura sull’azienda e sul marchio, esso si occupa di comunicare il suo valore intrinseco e durevole. Guarda dentro, non fuori.
Facciamo un esempio: prendiamo uno chef che offre un menù ai suoi clienti. Se egli avesse un approccio “totalmente marketing” prima di ideare un nuovo menù dovrebbe fare una analisi di mercato per capire cosa piace e cosa desiderano i clienti, e fare anche un’analisi della concorrenza per capire cosa fanno gli altri ristoranti e che funziona bene sul mercato. Dopodiché si metterebbe a creare i suoi piatti, in base alle sue capacità, emulando la concorrenza di successo e rispondendo ai gusti della sua clientela. In seguito farebbe ricorso alle ultime tendenze in termini di promozione e comunicazione, utilizzando quelli che sono considerati come gli strumenti più efficaci per far parlare di sé.
Lo stesso chef, nel caso di un approccio di “Coaching d’immagine aziendale” invece per creare un nuovo menù, non guarderebbe all’esterno, ma dentro sé stesso. La sua sensibilità, creatività e ispirazione sarebbe la sua guida nella creazione. E solo dopo si preoccuperebbe di comunicare nel modo più adeguato il suo menù ai clienti, in un modo che rimanga coerente con la sua identità e con il tipo di piatti; indipendentemente dalla tendenza del momento in fatto di tecniche di marketing.
Io chiamo questo approccio “coaching d’immagine aziendale”, ma potremmo anche chiamarlo “marketing autentico introspettivo”.
Io ho fatto la mia scelta e ho deciso qual’è il mio approccio. E voi?